
Ed in questi giorni, oggi come ieri, si ricordano le figure dei giudici Borsellino e Falcone.
(tratto da http://www.julienews.it)
di Antonio Rispoli
Due episodi hanno caratterizzato la vigilia delle celebrazioni per i 18 anni dal tragico anniversario della morte di Paolo Borsellino, morto nell'attentato in via D'Amelio il 19 luglio 1992, insieme agli uomini della sua scorta. Il primo episodio è il danneggiamento della statua, rappresentante i due giudici, che era stata posizionata a Palermo, tra piazza Castelnuovo e Via Quintino Sella. Il secondo la manifestazione organizzata per domenica 18 luglio alle 9 del mattino, che ha richiamato solo un centinaio di persone, tra cui molte provenienti da fuori la Sicilia.
Sono due segnali poco incoraggianti, senza dubbio. Ma quali possono essere le cause? E' vero che c'è la disaffezione dei cittadini palermitani per il rispetto della legalità?
Personalmente non credo. Ovviamente non posso parlare uno per uno per ciascuno dei cittadini del capoluogo siciliano, ma è un fenomeno che ho aviuto modo di notare. In sostanza, il punto è semplice: i palermitani (come i siciliani e gli altri abitanti del sud) onesti si sono scocciati di dover combattere una guerra sia contro la mafia che contro lo Stato, aiutati solo da una parte delle forze dell'ordine e dei giudici. Non se la sentono di esporsi nuovamente in prima persona, per poi essere lasciati in mezzo alla strada da soli. E' già successo proprio nel 1992. Quando Falcone e Borsellino vennero uccisi, la reazione popolare fu così violenta nei confronti dei politici da farli scappare. E questo provocò una reazione positiva dello Stato, tanto che si ebbe l'arresto di Totò Riina e di altri personaggi importanti della mafia. O, secondo una certa versione ei fatti, questi personaggi furono consegnati da Provenzano, nell'ambito delle trattative tra mafia e Stato, quelle che sarebbero state iniziate dai vertici del Ros, Mori ed Obinnu.
Come siano andate le cose, resta il fatto di fondo: che dopo il 1994 la politica ha cominciato a lasciare andare il sud alla deriva come prima. E in questa maniera i cittadini sono rimasti in prima fila nella lotta contro la mafia, subendone le conseguenze, con un aumento dei casi di racket ed un controllo sempre più totale del territorio. Ora è normale che non ci sia più voglia di esporsi. Non è paura, ma semplicemente la normalità: nessuno che abbia un po' di buon senso ci tiene a fare la fine di Don Chisciotte contro i mulini a vento. Per chi non avesse letto il libro, il prode cavaliere finisce con le ossa rotte e poi muore. E non è facile convincere la gente a fare lo stesso.
Io, il giorno che fu assassinata la scorta e il giudice Borsellino, ero in gita a Cortina, con dei miei zii. Fu uno dei miei primi momenti di coscenza sociale. Ebbi la sensazione che davvero, quel fatto di sangue, fosse stato un segnale lacerante, fermo, quanto vile e feroce della contro istituzione italiana.
La malavita colpì quel giorno l'altra metà della simbologia antimafia. Oggi in molti ci chiediamo se il sacrificio di quei due grandi uomini, sia stato davvero seguito da altri valori aggiunti. Ci raccontano spesso che oggi il lavoro è maggiormente occulto , per non far trasparire i movimenti delle istituzioni, contro le fore di terrorismo e di malavita, specialmente al sud. Ogni tanto ci si accorge che la mafia è ovunque, eppure non siamo in molti, a quanto pare, disposti a credere che la manifestazione di una idea antitetica a queste organizzazioni, sia una forma utile e forse non crediamo che lo stato ci protegga davvero.
Io non so se questa legittima opinione sia il frutto dell'atteggiamento di chi fa politica, senza distinzioni nel ruolo, però so che non scorderò quel giorno che mi diede il senso della domanda sociale...
Cosa siamo noi? Cosa valiamo di fronte al potere e soprattutto, dal potere ci dobbiamo difendere o ci dobbiamo fidare?
Onore ai giudici Giovanni e Paolo, uomini giusti.
Alex Geronazzo
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